Glossa Editrice
copertina 9788871054599 v4

Alessandro Chiesa

Legge della gradualità. Superamento di una formula e assunzione di un'istanza

Recensioni

  • Recensione di Alberto Mestre, L.C.

    24 aprile 2024

    Il libro consiste nella «stesura della Tesi di Dottorato, discussa alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, a Milano, da Alessandro Chiesa» (p.3). Nella cornice propria di una «linea teologico-morale che nella Facoltà teologica milanese viene approfondita ormai da diversi decenni» (p.3). Lo scopo dell’autore è «di interpretare la legge della gradualità all’interno di una rinnovata teoria della coscienza morale» (p.3). Il libro presenta due parti. La prima offre un’indagine sulla legge della gradualità nel Magistero della Chiesa e una ricerca su alcuni moralisti moderni. La seconda parte, che consiste in quattro capitoli, ha come idea principale che «per superare la contrapposizione tra l’istanza soggettiva, […] e l’istanza oggettiva, riduttivamente identificata alla norma, è necessario approfondire proprio la nozione di legge» (p.4). Allora, si tratta di riformulare o ripensare, secondo l’autore, «una teoria della legge a partire non dall’esigenza iscritta nella ragione che giudica l’atto, bensì quale forma dell’ingiunzione iscritta nell’esperienza stessa della coscienza» (p.123); allo stesso tempo, questa ultima dovrà subire anche una nuova elaborazione. Come dice l’autore: «occorrerà dunque formulare una teoria della legge e una teoria della coscienza che consentano di superare l’alternativa, al fine di trovare uno sfondo teorico adeguato entro il quale ripensare la nozione di legge della gradualità» (p.126). Nel primo capitolo della prima parte si offre una lettura dei documenti del Magistero della Chiesa dove, sempre secondo l’autore, i punti di riferimento sono “l’assolutezza della norma”, nell’ambito dottrinale, e un “cammino soggettivo graduale”, a modo di applicazione, nel piano pastorale. La cornice nella quale si trova questa tematica è la tensione esistente tra livello oggettivo, proprio della norma, e il livello soggettivo, proprio della coscienza. Nel secondo capitolo di questa prima parte vengono analizzati diversi moralisti e classificati fondamentalmente secondo due posizioni: come “deontologisti” o “teleologisti”.Queste due posizioni determineranno l’approccio che si terrà in riferimento al tema della legge della gradualità. Nella seconda parte il primo capitolo offre una ricognizione storica, mentre il secondo capitolo presenta uno studio sul rapporto tra la teoria della fenomenologia-ermeneutica (antropologia) e l’ermeneutica biblica (antropologia biblica), che sgorga con la convinzione dell’autore che «il superamento dell’opposizione o anche solo della giustapposizione tra oggettivo e soggettivo può essere ottenuto solo pervenendo a un’idea simbolica della legge, nel suo nesso alla coscienza» (p.4). Dopo di che si cerca di applicare le ricerche fatte sulla “legge della gradualità” affermando che essa può essere recuperata e riformulata come un principio ermeneutico della norma morale (terzo capitolo), proposta che viene motivata nel quarto e ultimo capitolo fungendo da conclusione finale. Nella sua riflessione, l’autore parte “dall’emersione della legge della gradualità all’interno del Magistero”. Non si trova nell’autore una riflessione come realtà dinamica tanto spirituale come morale che è presente, nella vita del cristianesimo, come principio fondamentale della pedagogia della vita cristiana in generale, e in tutta la Sacra Scrittura, perché la vita cristiana è un processo di crescita e la crescita, ordinariamente, è graduale. Generalmente la grazia di Dio si adegua al nostro modo naturale di crescere, che è graduale. Gesù, che conosce la nostra vulnerabilità, ci attira a sé guidandoci come per una strada in salita che si percorre giorno per giorno. Sul “dibattito teologico attorno alla legge della gradualità”, l’autore analizza il contributo di diversi filosofi e teologi, che vengono classificati come “deontologici” o “teleologici”, a seconda il loro modo d’interpretare la norma. Sempre secondo l’autore, i deontologisti presentano la ragione come un “a priori universale”, e «in fondo risentono [tanto il deontologismo come il teleogismo] di un presupposto intellettualistico incapace di rendere ragione dello statuto simbolico della norma e del suo nesso originario con la coscienza» (p.118). L’autore intende per “fondazione deontologica delle norme morali”, il concentrarsi in modo particolare «sul dovere», «ovvero sul valore vincolante ed assoluto della norma morale stessa» (p.66). Così, «la legge, avendo un carattere d’immutabilità e di assolutezza, domanda di essere osservata e applicata ad ogni costo ed in qualunque situazione» (p. 66). Su questo posso dire che conoscendo tanti autori presentati da Chiesa nell’elenco dello studio fatto, non è possibile inserirli in questa categoria della fondazione deontologica, non solo perché le sfumature sono tante, ma principalmente perché è il “bene” della persona ciò che la norma custodisce, quello che protegge, e invita a vivere. La tendenza, da parte dell’autore, di classificare la lettura degli studiosi analizzati in una delle due possibilità (o di fondazione deontologica o di fondazione teleologica), porta a una riduzione del loro contributo, che va oltre questa dicotomia impostata dall’autore, ormai già superata a livello teologico. Norma e coscienza, oggetto e soggettivo, deontologico e teleologico, intrinseco ed estrinseco, sono tensioni che non riflettono la vera ricchezza dello studio morale contemporaneo. Tanti pensatori contemporanei hanno un approccio integrale e non intellettualistico alla persona, non studiato a tavolino, artificiosamente e in modo rigido, ma partendo da una vera “fenomenologia esperienziale” che permetta di riflettere sulla persona, sul bene della persona, sul bene per la persona, come una unità in cui i diversi aspetti non sono presentati in un modo dicotomico, in violenta tensione dialogica, ma in modo  complementare, con una ricchezza circolare. In questa ottica il contributo degli autori fidati e di spicco, tra alcuni pensatori moderni e contemporanei, finisce per amalgamare una presentazione globale della legge della gradualità. L’autore presenta una proposta dove s’intrecciano in primo luogo una parte antropologica che procede dall’interpretazione di coscienza come ipseità, fatta da Paul Ricoeur, e definita come «il sé che si riconosce e si identifica attraverso il proprio agire, e dunque attraverso il “complesso intrigo della storia”» (p.206). Dall’altra parte, «la norma […], la legge non può essere applicata a procedere dalla “ragione” come pretende l’impostazione razionalista ed intellettualista che separa (o giustappone) la coscienza (soggettivo) e la norma (oggettivo); la legge richiede piuttosto l’interpretazione della coscienza che riconosce nella norma quel bene promesso e dischiuso dall’altro da sé» (p. 207). Alla fine, si sta «[…] istituendo una teoria che costruisce il nesso originario tra coscienza e atto e che, nello stesso tempo, ripensa la norma a procedere dalla coscienza» (p.119). In secondo luogo, si presenta una parte teologica dove «la legge dev’essere considerata nella sua valenza simbolica originaria: è riferimento ad un bene (dono) che anticipa la coscienza e che viene dischiuso attraverso l’esperienza concreta che essa è chiamata ad interpretare» (p.209). Queste due parti permettono di offrire, sempre secondo l’autore, una proposta ermeneutica alla “legge della gradualità”. Il capitolo terzo della seconda parte presenta una reinterpretazione tanto della legge, come della coscienza, e così prepara il terreno per offrire una presentazione diversa della “legge della gradualità”. La norma «non assume un valore ab-soluto, ma resta sempre simbolicamente riferita all’esperienza della vita buona» (p.237), che «assume la forma del riconoscere nell’altro quella promessa costitutiva che appella alla mia coscienza; e questo riconoscimento non avviene nella forma dell’ottativo, bensì dell’imperativo e dell’ingiunzione» (p.239). La norma morale, afferma l’autore, «ha un carattere simbolico costitutivo […], è dunque chiamata a tutelare quelle esperienze di bene che la relazione all’altro presenta al sé come vitali e costitutive» (p.239). La norma infatti, «ha propriamente la funzione di custodire quella promessa che è “generata” dall’alterità costitutiva della coscienza stessa» (p.240), e così la norma «non richiede l’applicazione della ragione, bensì l’interpretazione della coscienza» (p.240). «La legge nel suo senso simbolico, in quanto rimando ad un bene promesso, richiede di essere interpretata dalla coscienza» (p.240). Ogni altra concezione di norma al di fuori di questa proposta, viene classificata come deontologica o teleologica. L’autore afferma che questa «reinterpretazione della norma non corrisponde ad una relativizzazione del suo significato o del suo valore. Essa mantiene un valore universale in quanto, in una determinata situazione, essa vale sempre e per tutti» (p.242). La reinterpretazione proposta dall’autore «richiede dunque un ripensamento dell’agire morale e della valutazione morale degli atti a partire dalla determinazione storica del soggetto, quale momento imprescindibile del discorso etico» (p.252).Invece, il personalismo morale già da tempo ha riflettuto e presentato una visione fenomenologica che ha permesso di capire meglio la persona con le sue  facoltà, qualità e caratteristiche in modo unitario. Tanti teologi hanno integrato questa prospettiva, arricchendo la morale fondamentale, matrimoniale e sessuale, prendendo seriamente in considerazione il soggetto umano, il soggetto cristiano. Lo sforzo che l’autore compie per reinterpretare la “legge della gradualità”, benché molto rispettabile, non sembra offrire una base sufficiente, perché si imposta su un’interpretazione di «coscienza credente» (p. 211) che non assicura stabilità di fronte alle diverse situazioni e circostanze. Un’altra debolezza deriva dal basarsi su un’interpretazione della legge fondata su una teoria dell’azione in cui l’intenzione (non capita anche come fine prossimo) è il punto fondamentale di riferimento, e che “ripensa la norma a procedere dalla coscienza”. La proposta dell’autore non chiarisce in modo convincente il modo in cui la coscienza riesce a compiere il suo nuovo ruolo interpretativo, consapevole che senza questo si ricade nel relativismo soggettivo e nella morale della situazione. Se l’assunzione di un’istanza della “legge della gradualità” dipende da questo nuovo ruolo interpretativo della coscienza, non si vede il modo di presentare una nuova formula  di “legge della gradualità”.

    Fonte da:  rivista Alpha Omega 26 2 (2023), pp.391-394