Glossa Editrice
copertina 9788871054469

Massimo Epis (ed.)

Delle cose ultime. La grazia del presente e il compimento del tempo

Recensioni

  • Recensione di Paolo Marino Cattorini

    05 maggio 2021

    Analisi dell’opera:

    Massimo Epis (a cura di), Delle cose ultime. La grazia del presente e il compimento del tempo, Glossa, Milano 2020. Un volume di pp. 190.

    Da quando l’escatologia ha rivendicato un posto centrale nella teologia fondamentale, gli studi scientifici hanno fatto emergere i termini conflittuali di alcune interpretazioni relative ai ‘novissimi’: morte, giudizio, inferno, paradiso. I sette studiosi che firmano i contributi di questo volume collettivo, aperto e chiuso da un’introduzione e una postfazione di Massimo Epis, Preside della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, sede di Milano, analizzano punti significativi: l’esperienza contemporanea della temporalità (Canullo), la nozione di compimento creaturale (Ubbiali), il trans-umanesimo come escatologia pagana dell’immanenza e i tratti apocalittici e conservatori della filosofia tedesca contemporanea (Müller), il rapporto tra singolarità dell’esistenza corporea e forma universalmente cristologica della salvezza (Noberasco), il ricorrente rimando escatologico nell’epistolario paolino (Romanello), i limiti del linguaggio dogmatico che enuncia le figure della speranza (Cozzi). In sintesi, «Gesù è l’eschaton realizzato: è Lui la definitività del dono che Dio fa di sé nell’evento di una libertà autentica» (Epis, p. 187). Il definitivo non assorbe ma fonda la storia, dato che la creazione è già figura precoce del compimento e dato che nell’avventura della libertà umana ne va di Dio stesso, un Dio che presenta la propria immagine di crocifisso come insuperabile documento della propria vulnerabilità e come cifra di quei cieli e terra nuovi, in cui una storia di carne attende di venir ripresa, assunta e portata a risurrezione. Il testo collettivo delinea, più o meno esplicitamente. alcune future piste di ricerca, a partire da dilemmi teologici attuali. Il primo riguarda lo statuto ontologico della caducità, della finitezza umana, della dipendenza creaturale. Ciò equivale a postulare la necessità della morte – potremmo chiederci – oppure conferma il dovere di opporsi all’eterna nemica confidando che la lotta per la vita (di cui la medicina si è fatta protagonista quale religione secolare) sarà positivamente compiuta alla fine dei tempi e sboccherà in una trasformazione e glorificazione integrale della corporeità umana? «La risurrezione di Gesù ha la forma di una vittoria sul male e sulla morte inflitta dagli avversari. È il carattere agonico della risurrezione» (Cozzi, p. 180). Altro tema aperto è quello del lasso temporale tra l’evento mortale e la risurrezione/ giudizio dell’ultimo giorno. Risultano biblicamente poco plausibili tanto la soluzione dualistica (la persistenza di un’anima platonica, scrollatasi di dosso la prigionia del soma), quanto l’assolutismo teologico di marca protestante (che ingloba indeterminatamente nel futuro di Cristo le concrete individualità storico-biografiche). La diffusa espressione «tornare alla casa del Padre» non sacralizza una sorta di «stato intermedio» e non nega lo strappo doloroso della separazione (quasi che nel decesso si potesse già identificare e celebrare gioiosamente la redenzione ultima), ma esprime la permanenza del defunto, segnato da un’irripetibile vicenda storica e da decisive relazioni interpersonali, dentro l’amore di Cristo, in attesa dell’unione/trasformazione definitiva che si realizzerà nel Regno promesso. L’incarnazione/ascensione del Figlio ha già inaugurato un’era nuova, discontinua rispetto a quelle precedenti, e se la storia è tuttora determinata dalla persistenza di forze maligne, il presente offre ai viventi beni salvifici (che la parusìa porterà a termine) e sollecita una decisione degna da parte dei credenti (vegliare, restare sobri come figli della luce, offrire le proprie membra al servizio di Dio e dei fratelli) Il nostro aldilà non è quindi un luogo celeste o infernale, ma è il Cristo glorificato, che anticipa e promette la nuova, definitiva irruzione di Dio nel tempo. Un tempo che non viene annullato e ricreato ex nihilo una seconda volta, ma assunto a partire dal suo tèlos interno, poiché la trascendenza non schiaccia l’immanenza della creatura, ma la accende in direzione di un corpo glorioso, cui le immagini di fede alludono con più immediatezza dei concetti dottrinali. Anzi, come testimonianze della verità i dogmi fungono da affermazioni escatologiche (Cozzi cita a p. 167 A. Nitrola e la Commissione Teologica Internazionale). Poiché Dio ama l’uomo di un amore fedele, ci è garantita un’immortalità non statica, bensì segnata dall’iniziativa di un Dio che ci risveglia e risuscita, esponendoci a un giudizio, il cui criterio è il seguente: aver voluto liberamente diventare se stessi non contro Dio, ma con Lui. L’economia della Grazia prevede un’interlocuzione circolare tra creatore e creatura. Lo Spirito non ci lascia orfani. Reciprocamente Egli, procedendo dal Padre e dal Figlio, è interessato alla nostra risposta, ne è «arricchito»: qualcosa «accade» e si riverbera nel processo trinitario ogni volta che la libertà umana accoglie o rifiuta l’alleanza offertale.

    fonte da: Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, CXIII (2021), 1, pp. 311-334 ISSN: 00356247 (print) - 18277926 (digital).