Glossa Editrice
copertina 9788871054445

Vanto idolatrico in Paolo. Il rapporto tra il cuore ostinato, idolatria e vanto nella letteratura paolina

Recensioni

  • Recensione di Michel Quesnel

    19 ottobre 2023

    Nous proposons la traduction suivante pour ce titre : Vanterie idolâtre chez Paul. Le rapport entre cœur obstiné, idolâtrie et vanterie dans la littérature paulinienne. Le terme « vanterie » traduit l’italien vanto ; moins employé en français que le verbe « se vanter », il correspond au concept exprimé par le verbe grec kauchaomai et les deux substantifs qui lui sont associés, kauchèma et kauchèsis. Ces termes sont employés une cinquantaine de fois dans le corpus paulinien, la plupart du temps dans les épîtres proto-pauliniennes, et une seule fois dans l’épître aux Éphésiens (Ep 2, 9). L’ouvrage est la reprise d’une thèse soutenue en 2019 à la faculté de théologie d’Italie septentrionale, à Milan.

    Se vanter peut avoir chez Paul des connotations négatives et des connotations positives. L’objet de cette thèse est d’étudier ce concept en voyant si Paul prolonge la pensée juive — ces termes sont également employés dans la Septante (une soixantaine d’emplois) — ou s’il s’en distingue. Pour ce faire, l’A. constate, dès son chapitre d’introduction (p. 3-44), que Paul prend ses distances par rapport à la Torah que les Juifs ont parfois idolâtrée, et que cela a provoqué chez eux une obstination du cœur (en hébreu sherirut leb) déjà dénoncée par le Deutéronome, les Psaumes, et surtout par Jérémie. Il opère ensuite un parcours chronologique dans les écrits juifs antérieurs à Paul, qui constitue une grosse partie de l’ouvrage. Dans le chapitre ii, il étudie le lexème sherirut dans l’Ancien Testament (p. 45-76). Dans le chapitre iii, il étudie le même terme dans les textes de Qumrân (p. 77-114). Dans le chapitre iv, il se consacre au judaïsme du Second Temple (p. 115-156). Et on ne revient aux textes pauliniens que dans le chapitre v (p. 157-254), avant une conclusion qui reprend l’ensemble de la démarche et précise ce qu’est la vanterie selon Paul (p. 255-264). Une bibliographie et des index sont fournis à la fin de l’ouvrage (p. 265-354).

    Selon l’A., Paul distingue deux types de vanterie. La vanterie négative a deux motifs : l’un, déjà dénoncé dans l’Ancien Testament, qui s’alimente à la pratique des œuvres de la loi et à l’obéissance à des commandements que les Juifs ont tendance à idolâtrer ; l’autre, non souligné dans la tradition juive, qui donne trop d’importance à la sagesse du monde, une sagesse qui refuse la croix comme unique voie de salut et provoque une vanterie anthropocentrique. Mais il existe aussi une vanterie positive, une vanterie théocentrique, celle de Paul et de tout disciple de Jésus, fiers d’appartenir au Christ et de se laisser guider par l’Esprit.

    L’A. est bien informé de l’exégèse paulinienne contemporaine : il lit les épîtres en tenant compte de la rhétorique gréco-romaine ; et il tient également compte de la « nouvelle perspective » initiée par E. P. Sanders à la fin des années 1970, ainsi que des critiques qui lui ont été apportées. Les inventaires sont très complets, l’ouvrage examine les textes de façon minutieuse ; le style manque parfois d’élégance en raison même de la finesse des analyses. On peut également s’interroger sur la pertinence des choix de l’A. Paul n’emploie pas le lexème « dureté du cœur » (sklèrokardia) pourtant présent ailleurs dans le Nouveau Testament ; le parcours dans la tradition juive réalisé à partir de l’obstination (sherirut) du cœur est-il le meilleur ? Un débat avec l’A. sur ce point mériterait d’être entrepris.

     

    Fonte da: Revue des sciences religieuses, 95/3-4 | 2021, 300-301.

  • Recensione di Andrea Albertin

    02 febbraio 2023

    Come comprendere il tema del vanto nelle lettere paoline, soprattutto quando compare nel suo risvolto negativo? Se inteso come falsa fiducia dell’uomo in sé stesso, in che cosa essa è riposta? Quale antidoto al vanto prospetta l’annuncio di Paolo? Questi sono gli interrogativi sollevati dalla ricerca di Francesco Bargellini (da qui in poi FB). Il tema dell’indagine interseca criticamente i paradigmi interpretativi suggeriti nella New Perspective on Paul, inaugurata dall’ormai celebre e influente testo di E.P. Sanders (Paul and Palestinian Judaism. A Comparison of Patterns of Religion [London 1977]) e sviluppata dai numerosi contributi successivi di J.D.G. Dunn. Un’adeguata comprensione del vanto all’interno dei testi paolini implica, infatti, un’altrettanto adeguata visione del giudaismo come emerge dalla letteratura biblica e non. Alla luce dell’indagine, FB sostiene che la critica di Paolo al vanto (e prima ancora al giudaismo) si pone sulla scia della tradizione biblica, “per la quale la restaurazione di Israele sarà un atto unilaterale di Dio, non condizionato, né preceduto da alcuna azione buona dell’uomo” (36). L’antidoto al vanto, già elaborato nella corrente profetica, consiste nella promessa di un cuore rinnovato e nel dono dello Spirito. Il testo di Dt 29,18 offre il fondamento biblico all’intera tesi. In esso emerge che l’ostinazione del cuore è strettamente connessa con l’idolatria. A supportare questa acquisizione concorrono numerosi passaggi nel libro del profeta Geremia, grazie ai quali FB giunge alle seguenti conclusioni: (a) l’ostinazione del cuore è presentata come ferma volontà di seguire altri dèi, anziché il Dio dell’alleanza; (b) originatasi nell’idolatria del vitello d’oro, tale ostinazione si traduce nell’incapacità totale della creatura di aderire radicalmente a Dio; (c) unico rimedio è un futuro intervento divino che trasformerà il cuore. Questa perversione si manifesta in vanto spudorato e arroganza, al punto che perfino i simboli più sacri (il tempio, la legge mosaica, l’elezione) sono pervertiti in idoli dai quali si presume di ottenere la salvezza, indipendentemente da un reale assenso a Dio. Seguendo, dal punto di vista metodologico, le opere di S.J. Gathercole (Where is Boasting? Early Jewish Soteriology and Paul’s Response in Romans 1–5 [Grand Rapids, MI – Cambridge, U.K. 2002]) e di J.M.G. Barclay (Paul and the Gift [Grand Rapids, MI – Cambridge, U.K. 2015]), FB si dedica all’analisi della letteratura intertestamentaria, per verificare la fondatezza della propria ipotesi che vede un nesso dinamico e costante tra ostinazione del cuore – idolatria – vanto. Dai testi di Qumran, in particolare 1QS e CD II 17 – III 20, emerge che l’ostinazione del cuore attraversa l’intera storia, ma in una prospettiva differente da quella dei testi biblici. In questi, infatti, l’ostinazione ha radice in un fatto storico, ossia l’episodio del vitello d’oro. Nella letteratura qumranica, invece, l’ostinazione è legata alla sorte assegnata da Dio, nei suoi disegni misteriosi, in vista della battaglia escatologica tra i figli della luce e quelli delle tenebre. Essa “non è più frutto del peccato che è all’origine della storia di Israele (Esodo 32), ma la manifestazione storica di un goral, quella dei «figli delle tenebre», che precede la storia e affonda le radici nell’imperscrutabilità della volontà di Dio, da cui dipende sia il bene che il male” (113). In 1QS II 11-17 si può intravvedere l’interpretazione apocalittica di quanto annunciato in Dt 29,18: coloro che perseverano nell’ostinazione, venerando gli idoli del cuore, sono figli delle tenebre, destinati alla sconfitta definitiva. Per questo, il rimedio, a Qumran, non è descritto secondo il linguaggio biblico della circoncisione del cuore, bensì come invito a “circoncidere il prepuzio della propria inclinazione” (1QS V 5) verso il male per obbedire alla volontà divina. La struttura teologica deuteronomica che vede tra loro collegati ostinazione del cuore – idolatria – vanto emerge anche nella letteratura del Secondo Tempio. In questi testi FB riscontra due temi che ritornano successivamente anche negli scritti paolini. In primo luogo, l’incapacità dell’uomo di aderire radicalmente a Dio, se non avviene un intervento sul cuore (4Esdra). In secondo luogo, il vanto come appropriazione indebita dei doni divini, che traspare in 1Cor 4,7 e può trovare le radici in 4QElogio della Sapienza, 11Qsalmi, ma anche nel Testamento di Issacar, Baruc, Testamento di Giobbe e Testamento di Abramo. La traiettoria deuteronomica compare, secondo FB, anche in numerosi passi dell’epistolario paolino. Rm 2,17-29 costituisce il caso emblematico: il vanto del Giudeo nella legge mosaica non nasce da una reale adesione di fede a Dio, perché ammette la possibilità della trasgressione. In questo caso, il soggetto credente ritiene ugualmente di non incorrere in una perdita dei propri privilegi di appartenenza al popolo eletto ma, al contempo, disonora il nome di Dio. Questa schizofrenia tra il dono divino della legge e la non osservanza della stessa, con la presunzione che ciò non intacchi la relazione di alleanza, provoca un utilizzo idolatrico della legge a discapito di Dio. Questo, d’altronde, avvalora ciò che J.M.G. Barclay, nel contributo già menzionato, definisce come la “grazia incongruente”, che afferma la priorità del dono divino della salvezza, ma, allo stesso tempo, implica la risposta libera del fedele. Fare del dono della legge mosaica un salvacondotto anche dinanzi alle proprie trasgressioni della legge stessa può, a ragione, essere considerato idolatria, che si manifesta nella forma del vanto come fiducia in sé stessi, anziché in Dio. Le diverse circostanze che stanno all’origine delle lettere paoline mettono in luce il peso che il tema del vanto assume di volta in volta. FB ritiene, in particolare, che “il vanto idolatrico appare quando è minacciata l’unicità della giustificazione in Cristo” (258): in Galati, Romani e Filippesi si tratta, specificamente, della questione legata alle opere della legge, mentre in 1 e 2 Corinzi della sapienza mondana che rifiuta la via paradossale della croce per la salvezza. Nelle lettere della tradizione paolina la tematica del vanto si ripresenta in Ef 2,9 come generalizzazione di ciò che attiene all’ambito delle opere intese in senso lato, senza altra determinazione. Il vanto idolatrico, pertanto, ha un sapore eminentemente antropocentrico che già il profeta Geremia denunciò, influenzando la tradizione giudaica posteriore fino a Paolo. Accanto a questo risvolto negativo del vanto, i testi paolini ne rivelano anche uno positivo, di carattere teocentrico, fondato in Cristo, che, come recita 1 Cor 1,30, è stato costituito “per noi da Dio sapienza, giustizia, santificazione e redenzione”. Secondo FB, quando Paolo attacca il legalismo giudaico non intende smantellare l’intero impianto religioso di Israele, bensì denunciare il legalismo del cuore idolatrico, che deforma il rapporto di Israele con Dio e con la legge. Nel complesso, il libro soddisfa l’intenzione dell’autore di individuare “una via per superare la divisione delle due prospettive classiche degli stuti paolini” (263): “la lettura antropologico-soteriologica del vanto, sostenuta dalla Old Perspective, e quella etnico-nazionale della New Perspective” (43). Entrambi questi aspetti sono complementari entro il paradigma del vanto idolatrico, il cui antidoto rimane l’unione con Cristo mediante la fede e l’effusione dello Spirito, così da abilitare il credente a compiere la volontà di Dio. L’assunto della tesi che maggiormente potrà interessare gli studiosi della letteratura paolina è la comprensione del vanto, presentato nella sua espressione negativa, all’interno di una lunga tradizione biblica e letteraria, in cui esso scaturisce dall’indurimento del cuore dovuto all’idolatria, nelle varie forme che essa può assumere. Questa acquisizione aggiunge un altro tassello al panorama degli studi sul rapporto tra Paolo e il giudaismo, contribuendo a porre in evidenza la complessità e la varietà degli aspetti attorno a questo tema. Si deve anche notare, tuttavia, che, oltre al riconoscimento del modello cuore ostinato – idolatria – vanto e la sua presenza coerente nella letteratura coeva a Paolo e negli scritti dell’apostolo, occorre indagare la funzione retorica ad esso attribuita in ciascuna argomentazione, così da testare di volta in volta le congruenze o le incongruenze del paradigma. L’ipotesi sostenuta dall’autore, che ciascuna situazione conflittuale focalizzata negli scritti paolini rimandi a problemi reali, non gode del consenso unanime tra gli studiosi. La tecnica della presa di distanza, per esempio, lungi dal negare la storicità dei conflitti, segnala una generalizzazione degli stessi. In tal modo, si realizza una sfrondatura dei dettagli specifici, per rendere attuale ad altre situazioni simili l’annuncio del vangelo. Nel caso di Rm 11,18 la componente pagana delle comunità romane è messa in guardia dal vantarsi per il dono divino della misericordia ricevuto in virtù del rifiuto del vangelo da una parte di Israele. Nel contesto dell’allegoria, la cui intenzione è confermare che Dio non ha rifiutato il suo popolo per sempre a causa dell’ostinazione di alcuni, il vanto, di cui si parla in 11,18 e che interessa i pagano-cristiani, ha una designazione idolatrica secondo la linea dimostrata da FB? Quale connotazione assumerebbe il vanto in questo caso? L’appropriazione indebita del dono della misericordia, come sostiene l’autore, o forse l’idea di aver sostituito il popolo eletto? I risultati dell’indagine implicano anche un’attenzione alle conseguenze di carattere teologico. L’attacco del vanto idolatrico, come afferma l’autore, compare “quando è minacciata l’unicità della giustificazione in Cristo” (258). La questione, allora, non può riguardare solo l’uso idolatrico delle opere della legge mosaica da cui Paolo mette in guardia, bensì la legge stessa come via di salvezza a motivo dell’unicità della fede in Cristo. D’altronde, come ben ha dimostrato l’autore esaminando le lettere ai Corinzi, il vanto positivo riposa nelle vie paradossali di Dio manifestate in Cristo. Il vanto idolatrico, pertanto, rinvia alla comprensione paolina della teologia, che nel mistero (Rm 11,25) divino della salvezza contempla quella che J.M.G. Barclay classifica come la “singolarità” della grazia di Dio, il cui eccesso paradossale risalta proprio dinanzi all’ostinazione idolatrica del cuore.

  • Facultad de Filosofía y Letras - Universidad de Córdoba (España)

    11 marzo 2022

    Negative boasting, censured by the apostle Paul, is by its nature idolatrous, as it arises from an obstinate, uncircumcised and in itself divided heart. The boasting “in Christ” is something else, made possible by the outpouring of the Spirit in the hearts of believers! Although the argument of boasting in Paul is not new, the perspective with which it is revisited by the author in an anthropological key is original. This volume stands out both for its clarity of presentation, which makes it accessible to a wide audience of readers interested in biblical themes, and for its scientific rigor.

    fonte da: Filología Neotestamentaria - Vols. XXXIV - 2021, pp. 325-342 

  • Recensione di Filippo Belli

    06 dicembre 2021

    Il titolo e il sottotitolo dello studio di Francesco Bargellini, indicano chiaramente di cosa si va a trattare. E lungo tutto il volume la chiarezza dell’intento dell’autore è bene esplicitata. Si tratta di valutare le diverse e numerose occorrenze nella letteratura paolina sul “vanto” e come possano essere interpretate. Naturalmente Bargellini non è il primo a cimentarsi nella questione come dimostra la bibliografia citata sul tema (276-278) e le pagine del capitolo introduttivo che recensiscono le varie posizioni a riguardo nella esegesi moderna (3-26). La novità di questo studio risiede in una ipotesi di lavoro che tenga conto anche delle impasse che l’esegesi paolina mostra in alcune sue interpretazioni del vanto e che toccano il paradigma stesso di lettura dei testi di Paolo. Il primo capitolo del volume si attarda a compiere una ragionata rassegna delle varie interpretazioni del “vanto” in Paolo, soprattutto quando si tratta del vanto dei Giudei o di Israele. I diversi paradigmi descritti dall’autore (vanto psicologico; vanto antropocentrico, vanto cultuale, vanto etnico-nazionale; il vanto retorico; il vanto storico-sociale e il vanto teologico) lo mettono in dialogo con le principali linee interpretative non solo del vanto, ma anche della letteratura paolina in genere. L’autore quindi si mette nella posizione di valutare anche le caratteristiche, attraverso la rassegna sul vanto, e anche i limiti delle linee interpretative della Old e della New Perspective. Il risultato è un tentativo di integrazione delle varie prospettive in una ipotesi di la- voro che possa essere verificata. Tale ipotesi di lavoro (40-42) prende le mosse da un principale assunto ricavato dal dialogo con le varie istanze interpretative presentate: in questione nel vanto è “l’ambiguità del rapporto dell’‘uomo religioso’ con Dio e con gli altri”, che lo rende legittimo se il cuore confida in Dio, mentre diventa idolatrico e formale se il cuore è diviso. Si tratta del pervertimento del fatto religioso che inficia la giustizia con l’illusione di poter adempiere a pieno la Legge; che presume l’elezione divina a prescindere da una adesione di cuore e che genera il legalismo. Ne risulta una triade di comprensione del vanto che tiene insieme tre concetti strettamente collegati: il cuore indurito o ostinato; l’idolatria, e il vanto conseguente. Il secondo capitolo si prefigge di avvalorare l’ipotesi della tesi trovando nel testo di Dt 29,18 il paradigma del rapporto vizioso tra ostinazione (ִׁשרירּות ְ) di cuore e vanto presuntuoso. Il contesto immediato del testo segnala nell’idolatria, e quindi nell’abbandono del Signore, l’origine di tale ostinazione e del suo proprio vanto (45-48). Al testo fondamentale di Dt 29,18 l’autore aggancia diversi testi del profeta  Geremia in cui è palesemente presente il nesso tra la ִׁשרירּות  ְ del cuore e l’idolatria (48-76). Importante in questa rassegna per i passi successivi è l’analisi del testo di Ger 9,22-23 in cui emerge il tema del vanto sia in negativo che in positivo: il vanto sulle proprie capacità oppure il vanto nel Signore. A questo si collega immediatamente (Ger 9,24-25) sia la questione della circoncisione del cuore che l’idolatria, completando così il quadro di comprensione del   vanto. Tale rassegna di testi di Geremia conferma il quadro di comprensione del vanto che è in nesso con l’ostinazione (o incirconcisione o durezza) del cuore con il cedimento alla idolatria, ovvero l’allontanamento da Dio per altre istanze. Il terzo (77-113) e quarto capitolo (115-155) si soffermano rispettivamente su alcuni testi di Qumran e del Giudaismo del secondo Tempio. I testi di Qumran sono recensisti soprattutto attorno al tema della ostinazione del cuore del popolo di Israele, una misteriosa ferita ab aeterno che ne determina il destino e l’inclinazione all’idolatria. Poco presente invece il tema del vanto ma implicitamente ravvisabile. I testi,  invece,  del  Giudaismo  del  Secondo  Tempio  sono  affrontati  seguendo il tema del vanto nelle sue varie espressioni che confermano il loro nesso sia con l’idolatria che con il cuore indurito. Un vanto quindi idolatrico che si appropria dei doni  di  Dio  ritenendoli propri. Questi due ultimi capitoli, insieme all’analisi dei testi delle Scritture di Israele fatta precedentemente, offrono, quindi, il quadro di comprensione per il capitolo successivo, il quinto (157-254), che è il culmine della tesi, dove l’autore passa in rassegna tutti i testi dove Paolo e la sua tradizione menzionano il “vanto” e cerca quindi di interpretare i dati a partire dallo sfondo di tradizione biblica e giudaica, convinto che sia l’ambito ermeneutico più appropriato. Un compito ardito visto che i testi sono numerosi e variegati e riguardano tutte le lettere proto paoline e anche uno sguardo a Efesini e Colossesi. L’autore, nondimeno vi si cimenta, avendo però presente la griglia di comprensione che fin dall’inizio della tesi ha guidato le sue analisi, ovvero che il vanto “illegittimo” ha sempre a che fare con l’idolatria e l’ostinazione del cuore per quello che riguarda Israele. La presentazione dei testi è fatta con due accortezze metodologiche: la prima è la lettura delle singole menzioni all’interno  del loro contesto nella lettera, e la seconda – conseguente – una attenzione all’andamento retorico di essi. È impossibile in questa sede recensire tutti i passaggi che l’autore affronta. Nondimeno il capitolo si sviluppa facendo percepire una coerenza di fondo dei diversi brani che offre come risultato una visione globale di come Paolo intenda il “vanto idolatrico” nel suo epistolario. Sono due le grandi acquisizioni di tale rassegna nella letteratura paolina: innanzitutto che il “vanto” che Paolo stigmatizza soprattutto riferito a Israele è sempre un vanto frutto di un cuore ostinato e ribelle a Dio, e quindi fondamentalmente idolatrico. In secondo luogo, al vanto idolatrico Paolo oppone (sulla scorta di Ger 9,22-23) un vanto “cristico”, quindi legittimo, unico rimedio al cuore malato che non può salvarsi se non nella fede cristica capace di rinnovare il cuore e liberarlo dalla idolatria. Una vasta e ordinata bibliografia, degli ottimi indici (tematico, delle citazioni e degli autori) chiudono il  volume. Alcune annotazioni al volume mi sembrano a questo punto opportune. Ci troviamo, sicuramente, di fronte a un lavoro che ha un amplissimo respiro e che è condotto con grande scientificità. L’autore dimostra di avere ben presente la posta in gioco. Il capitolo introduttivo lo evidenzia mettendo in luce quali grosse conseguenze se ne possono trarre non solo per il tema specifico, ma anche per una lettura  e  interpretazione  di  tutta  la  letteratura paolina. A livello metodologico generale avrei preferito che il punto di partenza, ovvero l’ipotesi di lavoro dell’autore secondo la quale il vanto “illegittimo” è sempre collegato all’idolatria e manifesta un cuore ostinato, fosse, invece, il risultato dello studio. L’impressione è che l’ipotesi di partenza sia ricercata a tutti i costi lungo l’analisi dei vari testi, a volte forzando un poco la mano. Un esempio.  La  rassegna  dei  testi  di Qumran offre poco spazio, a detta stessa dell’autore (113), al vocabolario del vanto. Tuttavia, l’autore lo vede come “necessario e inevitabile complemento” (113). Lo stesso si potrebbe dire dei testi paolini che raramente mettono a tema esplicitamente il tema dell’idolatria, mentre  l’autore  lo  implica  sempre  in  qualche modo. Le due parti della tesi, ovvero lo studio dello sfondo biblico-giudaico e quello sui testi paolini, appaiono, a mio avviso, slegati. Di fatto, a parte il testo di Ger 9,22-23 in due occasioni, Paolo ha probabilmente presente tale sfondo, ma non è esplicitato. Sarebbe interessante provare a partire, invece, dai testi paolini sul vanto e trovare i riferimenti espliciti e non (allusioni, echi, ecc.) con la letteratura biblica e giudaica e confrontare i risultati con quelli di questo lavoro per avvalorarlo. Metodologicamente lo avrei trovato più  pertinente. Il risultato finale del volume, mi trova esitante. Le ultime parole del testo lo esplicitano, ovvero “il cuore irrimediabilmente ostinato e ribelle di Israele” (263). Una affermazione sicuramente paolina (cf. Rm 10,20-21), ma non ritengo sia il pensiero globale paolino sulla questione. Una maggiore attenzione ai fenomeni retorici della letteratura paolina eviterebbe tale impasse. Un esempio. L’autore quando analizza il testo di Rm 2,17-29 ritiene che il “giudeo” ivi menzionato sia la figura paradigmatica di tutto il popolo, rappresentando l’intera nazione (163-165). Una più attenta analisi retorica porta, invece, a pensare che in quel caso Paolo stia introducendo una ipotetica figura estrema, una possibilità, ma non certamente vuole affermare l’ipocrisia dell’intera nazione. La malizia insita nel cuore umano casomai è esplicitata in seguito tramite le Scritture (Rm 3,10-20) e vale per tutti, sia giudei che pagani. Concludo, malgrado gli ultimi rilievi, suggerendo la lettura di questo grosso lavoro che è stimolante e ad ampio spettro, che solleva questioni che ancora richiedono a tutti un grande sforzo di studio, analisi e tentativi, nel quale Francesco Bargellini  si è cimentato offrendo il suo contributo.

    fonte da: REVISTA ESTUDIOS BÍBLICOS, Volumen LXXIX/2021/Septiembre-Diciembre/Cuaderno 3